18 lug 2012

Milan, fine di un'era. Inter, va (quasi) bene così. Lucio, ma che combini?

Le cessioni di Thiago Silva e Ibrahimovic hanno certamente inferto un brutto colpo ai teorici de "ilmilannonvendeisuoicampioni" e del "qualcunaltroinvecesì", appianando d'un colpo quel dislivello che sussisteva tra le due sponde del Naviglio, tra chi millanta di tenere i suoi campioni, esibendo baldanzoso e soddisfatto il proprio eroismo, e chi invece i propri pezzi pregiati li cede, perché la crisi c'è, e i ristoranti non sono pieni, ed ammette che la crisi c'è, e lo ammette apertis verbis di fronte ai propri tifosi.
Ecco, credo che al Milan sia finita un'era. In effetti, il Milan già da un po' ha cominciato a togliere il prefisso "in" dall'etichetta di incedibile con cui mostrava orgoglioso i suoi fenomeni di fronte al mercato europeo, una filosofia che è stata fiore all'occhiello della gestione Berlusconi per vent'anni, e che ha consentito all'Ineffabile di costruire un'aura di indistruttibilità e di unicità attorno alla propria creatura, accalappiando l'affetto dei tifosi, il consenso unanime da parte degli eunuchi della critica sportiva, e meritandosi l'invidia degli avversari. Ma questa è una fase che si esaurisce nel 2006, alla cessione di Shevcenko, cui fa seguito quella di Kakà nel 2009, quando già l'Italia e nello specifico le aziende di B. sono entrate in quella area di secca che è la crisi economica mondiale. Il Milan viene così per la prima volta assoggettato alle logiche aziendali, non viene più trattato come un affare di cuore, comincia ad essere visto per quello che è, un debito. Le cessioni di Thiago Silva e Ibra sono solo la conferma di un'inversione di rotta operata tempo fa. Nossignore, qui non si  contesta la scelta della società, che anzi è condivisibile, apprezzabile e comprensibile laddove si pensi alla megamulta di 500 milioni inflitta alla Fininvest. La cosa che stupisce sono i dieci, o anche undici, passi indietro che il Milan fa sul piano della comunicazione: è un anno un po' così. Si comincia il famoso 12 gennaio, con il fallimento inaspettato dell'affare Tevez, e il primo viaggio a vuoto dell'onorata carriera di Galliani; ma come, dovevano comprare Tevez e invece stavano per vendere Pato, non ce l'avevano mica detto? E perché lasciano partire Galliani e cambiano idea proprio al fotofinish, facendogli fare una discreta figura di menta? Si continua con quel diverbio mai del tutto decodificato nel tunnel di San Siro contro Marotta, e successiva maretta con la Juve, probabilmente mai del tutto ricomposta. E poi lo squallido balletto su Thiago, i comunicati microscopici sul sito ufficiale (tanto che so dimenticano anche un "comunica"), i silenzi di Galliani, e le battute corrosive di Raiola che gettano sale sulla Cartagine rossonera. Altri spunti: persino i giornalisti vicini alla società rossonera hanno preso topiche colossali, dal Pellegatti che smoccola a più non posso contro Conte, allo sventurato Mauro Suma che esulta per un tempo pressoché infinito a un presunto gol del Cesena, salvo poi accorgersi che a Mario Beretta (chi, Barnetta? ma non faceva l'allenatore?) il gol, l'avevano annullato. Salvo poi accorgerci, noi, che il tabellino di fine partita recitava zero tiri in porta del Cesena. D'accordo, non sono tesserati, ma sono parte attiva di quel grande carrozzone mediatico che gira attorno al Milan, e testimoniano, anche loro, che il primato del Milan nella comunicazione si esaurisce sostanzialmente qui.

L'Inter di Stramaccioni mi piace. C'è un'idea, c'è una strategia di fondo, una volta tanto, non si naviga più a vista, ma si cerca di realizzare un disegno concepito a tavolino, direi con discreti risultati. Lucio e Forlan sono stati imbarcati, Julio Cesar, Maicon e Stankovic hanno il foglio di via in mano, i rimpiazzi sono assolutamente degni di nota e hanno sopra ogni cosa voglia di vincere e di emergere. Handanovic è uno dei migliori portieri al mondo e viene a sanare quella situazione di criticità che si è creata nella porta dell'Inter negli ultimi due anni, e per ciò che attiene l'aspetto puramente medico (Castellazzi ha giocato 32 volte, cioè Julio Cesar è stato assente 32 volte, e non è bello non è piacevole), e per quanto riguarda le prestazioni, quando ha giocato, di Julio Cesar, che ha perso quell'esplosività e quella reattività che l'hanno caratterizzato negli anni aurei. Silvestre, dignitoso difensore, sostituisce il neo-bianconero Lucimar Ferreira, sfrondando di parecchie reti la colonna dei gol subiti; Palacio porta gol e inventiva e Mudingayi si rivelerà utilissimo alla bisogna. Pazienza se non è stato riscattato Poli, e pazienza se non arriveranno Destro, Poli e Lucas: la strada è stata tracciata, è chiara e limpida di fronte a Moratti e Stramaccioni, il primo ha preso in mano le redini della sua creatura e non ha nessunissima intenzione di mollare, il secondo sta dando forma a una squadra sempre più credibile in vista del campionato prossimo venturo. Handanovic; Chivu, Silvestre, Samuel, Nagatomo; Cambiasso, Guarin; Palacio, Sneijder, Coutinho; Milito è già così una eccellente formazione. Il mercato non potrà che migliorarla. Per la prima volta si ha la sensazione che la società sia ben vigile sul mercato, antenne drizzate e cervello acceso, onde evitare altre operazioni Zarate- Forlan. E se si riesce ad abbassare il monte ingaggi, ancora meglio.

Le dichiarazioni di Lucimar hanno infastidito, ma non ci hanno trovati impreparati. Qualcosa del genere ce lo aspettavamo. E' prassi diffusa e consolidata che chiunque entri a far parte di quell'ambiente là venga trattato con un brainwashing preventivo, cercando ove necessario di impartire fantasiose ripetizioni di aritmetica e di storia calcistica. A ciò aggiungiamo che Lucimar non si è lasciato benissimo con l'Inter e che quindi il suo sentimento nei confronti della dirigenza non era il più puro e limpido possibile. Vado oltre: era impensabile che un neo giocatore della Rubentus, con il "30 sul campo" appiccicato in bella vista sulla tenuta da gioco, prendesse una posizione contraria, pena incenerimento sul posto da parte di Supermonociglio. Ed è comprensibile che, pronti via, abbia voluto arruffianarsi quella fetta non trascurabile di tifoseria juventina che ha rinunciato a pensare di testa sua troppo tempo fa. Ma è quel "il mio presidente" che fa rabbia, è quel piccolo aggettivo possessivo che fa tutta la differenza del mondo. Perché se Andrea Agnelli è veramente il tuo presidente, e ti senti pienamente rappresentato da lui, allora hai finito di fare parte della storia dell'Inter. Liberissimo di accasarti alla Juventus, mancherebbe altro, liberissimo di fare i conteggi che credi sugli scudetti della tua nuova squadra, e liberissimo di sentire un legame di appartenenza con quel presidente. Liberissimi, noi, di pensare d'ora in poi che a Madrid quella sera del 22 maggio siano scesi in campo 10 giocatori. Tu, non c'eri.

23 apr 2012

Dalle stelle alle stalle, dalla stalle alle tre stelle

La Juventus ha vinto ancora, schiantando la Roma, e complice l'ennesima caduta di un Milan sempre più depresso e sfiduciato, si sta avvicinando a marce forzate al suo ventottesimo scudetto. Ancor prima che la possibilità si realizzi, già le avverse fazioni si dibattono sul numero delle stelle che le maglie bianconere potrebbero esibire nella stagione prossima ventura, riportando alla stretta attualità guerre di religione che hanno sconquassato il calcio italiano dell'ultimo lustro e mai veramente sopite, e che avranno un clamoroso moltiplicatore nell'eventuale vittoria dello scudetto. La questione, inutile dirlo, è veramente importante. La Juventus, fregiandosi di aver vinto trenta scudetti, farebbe uno sgarro inaccettabile alle istituzioni, ai club che in quel periodo hanno subito i malaffari della mafietta di Moggi, e si farebbe beffe di sentenze passate ampiamente in giudicato, attraverso tutti i gradi di giustizia sportiva possibili immaginabili, e che in ogni sede hanno stabilito senz'ombra di dubbio la colpevolezza della squadra bianconera. Non spetta certo a una società di calcio farsi interprete di sentenze emesse da altri, decidere del loro grado di correttezza e infine scavalcarle in completa autonomia estraniandosi dal contesto di quella che dovrebbe essere una società civile, in cui le sentenze hanno valore perché espresse da soggetti terzi, e che pertanto dovrebbero essere rispettate e accettate, per quanto ci si possa trovare in disaccordo. E' chiaro che la società Juventus ha il pieno diritto di non condividerle, e di esprimere il proprio dissenso pubblicamente (lo fanno tutti, a cominciare dall'ex premier), ma c'è una gran bella differenza tra il dire "credo che abbiate sbagliato" e "avete certamente sbagliato".
Non posso non annotare che la Juventus, se esibirà la terza stella, perlomeno rimarrà coerente a se stessa e alle sue rivendicazioni: dopotutto la dirigenza ha impiegato gli ultimi anni a rimarcare ostentatamente di avere vinto ventinove scudetti, e per qualche tempo le battaglie giuridiche hanno addirittura distolto la società dall'attualità della squadra, che solo quest'anno si è, magnificamente, risollevata; la cerimonia di inaugurazione del nuovo stadio è stato un continuo ritorno ai due scudetti revocati,  che sono stati schiaffati in faccia ad Abete e alle autorità del calcio convenute; e in ogni dove dello stadio compaiono puntuali e orgogliosi riferimenti. Indossare la terza stella sarebbe solo la naturale conseguenza di una presa di posizione già assunta da tempo.
Trovo allora che il vulnus, reale e infetto, della vicenda non si annidi nella Juventus, che delle sue azioni risponde sostanzialmente solo per se stessa, ma nel silenzio assordante delle istituzioni, che non si preoccupano minimamente di porre una pietra tombale alla questione e lasciano Inter e Juventus nel limbo delle dichiarazioncine bifide da entrambe le parti, delle vendette trasversali, delle sciarpe "Inter ti odio", o delle magliette di Facchetti posate negli spogliatoi di Juventus Stadium. Qualunque soluzione finale, anche la più democristiana e pilatesca possibile, sarebbe preferibile a questo vuoto decisionale, persino consentire alla Juventus di dichiarare ventinove scudetti e all'Inter di dichiararne diciotto, come qualcuno ben informato aveva adombrato tempo fa. Chiaro, bisognerebbe cambiare l'intera classe dirigente del calcio italiano, che ancora contempla in parecchie delle sue cariche dei reduci di Calciopoli; ma questa è un'urgenza che supera il problema, sia pur annoso e impellente, del numero di scudetti della Juventus.

Chi si è svegliato stamattina, almeno tra i tifosi nerazzurri, ha trovato una brutta sorpresa. Tuttosport in prima pagina titolava infatti "Stellare" con a corredo tre belle stelle: non sono certo una novità i conteggi sgangherati del giornale di Torino, che in occasione di ognuno degli ultimi 4 scudetti dell'Inter, si è divertito a sottrarne uno all'Inter marchiandolo con una severa crocetta rossa, senza contare gli infiniti titoli minatori nei confronti della società nerazzurra, che preconizzano l'arrivo di nuove ed inedite intercettazioni (tanto inedite che le conoscevano tutti, chi non ricorda la "madre di tutte le intercettazioni", peraltro rivelatasi un clamoroso bluff?), e ancora, titoli che inneggiano a Luciano Moggi e annunciano terribili sventure in arrivo per l'Inter. Ora, finché Tuttosport si limita alle boutade di mercato, procura anche una occasione di sghignazzo per certi versi salutare in tempi di crisi come questi, più difficilmente posso invece concepire articoli che si fanno portatori delle più basse libidini dei tifosi e che sembrano, scritti da tifosi. Tuttosport dovrebbe chiarirci una volta per tutte quale sia il suo ruolo nell'editoria sportiva moderna, se sia un giornale nazionale, per tutti, o se sia una rivista tematica, alla stessa stregua de "Il romanista", o di "Forza Milan", realtà dignitosissime ma immediatamente identificabili. Se proprio vuole fare l'house organ della Juventus, almeno lo dichiari.

Ciò che è successo ieri in Genoa- Siena è stato ampiamente deprecato ed esecrato da stampa, televisioni e istituzioni negli ultimi due giorni, e non posso che unirmi al coro, soprattutto se penso che tre ore dopo il Wolverhampton in Inghilterra è retrocesso, e i tifosi hanno esibito con orgoglio e fierezza le loro sciarpe, le loro bandiere, i loro colori. Un altro calcio. Pochi hanno tuttavia sottolineato che Preziosi, di fronte ai fattacci di ieri, ha risposto prima consentendo ai suoi giocatori di togliersi la maglia, poi rendendo dichiarazioni generiche e confuse, e infine esonerando Malesani, decisione grottesca e incomprensibile. La situazione tecnica del Genoa è allarmante e prescinde dagli episodi di ieri: è stata generata da anni di condotta scellerata, passati a cambiare 15 giocatori per sessione di mercato, a coltivare i buoni uffici con Milan, Inter e Juve e fare i vassalli di Milan, Inter e Juve, a cambiare allenatore e a spendere camionate di euro su elementi discutibili. Gli ultrà risponderanno (spero) per quanto fatto; ma Preziosi, in caso di retrocessione, a chi risponderà?


20 mar 2012

L'insostenibile leggerezza di Ranieri (e di Moratti?)

La giornata di domenica dell'Inter stava trascorrendo nel purtroppo consueto grigiore: squadra lenta, stanca, apatica, trascinata ad un opacissimo 0-0 da un'Atalanta men che modesta, ennesima compagine a strappare un risultato utile in casa dell'Inter. Ecco, si diceva: il pomeriggio sonnacchioso del Giuseppe Meazza se ne stava andando senza troppi sussulti, nella tiepida rassegnazione di una tifoseria, invero sparuta, che non aspettava altro che il triplice fischio dell'arbitro per raccogliere bandiere e striscioni, tornare mestamente a casa e leggere il giorno dopo a pagina 24 della Gazzetta il commento della partita.
Ma l'Inter non riesce a vivere serenamente neppure la mediocrità. Ranieri chiede a Forlan se si sente di entrare, e il biondo uruguagio lo sfancula bellamente sostenendo che lui, no, quel ruolo lì non lo fa più. Ora, uno può accettare tutte le difficoltà tecnico- tattiche dell'Inter attuale, i risultati negativi, l'uscita dalla Champions, la mancanza di certezze assoluta per il futuro che propaga dalle stanze del potere nerazzurro, il tifoso può trangugiare tutto questo come un boccone particolarmente indigesto. Ma lo squallido teatrino tra Forlan e Ranieri è veramente troppo, soprattutto in un momento come questo, in cui la misura è già di per sé colma.
Diverse cose non tornano nell'affaire Forlan.
La figura dell'allenatore esce nuovamente ridimensionata dalla vicenda. Dopo l'orazione di Julio Cesar (più Cicerone che Julio Cesare nell'occasione) davanti allo spogliatoio tutto, che ha di fatto spogliato l'allenatore del suo ruolo di motivatore, Ranieri è stato di fatto misconosciuto anche nella sua veste di tattico. Non solo ha dovuto piegare la testa e chiedere a Forlan se sarebbe stato disposto a entrare in campo, mancava solo che chiedesse per favore o che si prostrasse a terra, ma come risposta alla sua inusitata e inopportuna gentilezza si è sentito rispondere "no, grazie, l'esterno non lo faccio". Tradotto: come allenatore non vali un fico secco. Ora, una situazione simile, in una società normale, con le palle e le contropalle, non sarebbe stata accettata con i sorrisi del dopopartita e le patetiche smentite a cui non ha creduto nessuno, nemmeno i gonzi che pensavano che Mourinho e Eto'o volessero più bene all'Inter che al proprio portafogli.
Il tifoso avrebbe voluto che Moratti (o un direttore sportivo, se ci fosse) scendesse in panchina, acchiappasse per il bavero l'impenitente riccioli d'oro e ne causasse l'ingresso coatto in campo. Ad ogni costo Forlan non doveva averla vinta, o entri in campo, o ti metto fuori rosa. E' invece notizia di questi giorni che non solo Forlan non è stato punito, né multato, né almeno rampognato, ma che potrebbe addirittura giocare contro la Juventus: Ranieri dimostra al mondo per l'ennesima volta di non avere il minimo polso e di essere vittima degli eventi, che lo stanno avviluppando in una spirale negativa a cui solo un salvifico esonero può porre fine. In subordine, la società è responsabile tanto quanto: potenzialmente, nel calcio di oggi, tutti i calciatori covano comportamenti come Forlan, e solo il timore, e l'interesse, li tiene ben lontani dall'anche solo pensare di ribellarsi alle scelte dell'allenatore e non entrare in campo. Ma solo all'Inter la potenzialità trova la sua espressione e si manifesta nel modo più violento e odioso. L'ultima volta che all'Inter un giocatore si è rifiutato di entrare, l'hanno fatto dirigente accompagnatore, chissà che questa volta non facciano Forlan presidente...
Propositi per il futuro: prendere sei pere dalla Juventus e sollevarci da Ranieri da qui alla fine dell'anno, perché esistono traghettatori e traghettatori, e quello che ci è capitato si è perso nell'oceano sconfinato della sua mediocrità, e nella sua convinzione barbara che per risolvere i problemi dell'Inter, bisognasse acuirli. L'Inter quest'anno ha già perso tutto: se rimarrà ancora Ranieri, perderà anche la dignità

15 mar 2012

Inter: vademecum per una ricostruzione (tardiva)

Scrivo con l'animo ancora afflitto e il cuore gonfio di un coacervo di tristezza, rassegnazione e delusione per ciò che era sul punto di essere e non è stato. Eppure il gol di Brandao, così inaspettato e malandrino, potrebbe essere una benedizione. E' vero, l'Inter adesso è fuori da tutto, finirà la stagione con i proverbiali zeru tituli e giù con gli sfottò di quegli altri che hanno subito per anni, e che per un penoso contrappasso renderanno la pariglia ai tifosi dell'Inter con pieno e completo godimento dei sensi. Nondimeno, si può considerare questa nuova anonima (e anomala) situazione come terreno di semina per il futuro, come dice un vecchio adagio, non tutto il male viene per nuocere.
Il gol di Brandao deve aprire la stagione dei ripensamenti, dei tagli, dei ragionamenti. E allora è il caso di vedere come la società dovrebbe intervenire idealmente, a partire da subito. Conscio fin d'ora che tutte le cose che dirò resteranno solamente bubbole su uno stupido blog, che quello che vuole fare Moratti lo sa solo lui bontà sua, e che in ogni caso, conoscendo ahimè l'umorale individuo, ben difficilmente la sua volontà collimerà con le mie proposte.
Ebbene, dopo aver ascoltate infinite volte refrain del tipo "un allenatore giovane e inesperto non si può prendere, perché non c'è una società solida che lo possa sostenere", "un progetto giovani è irrealizzabile perché la società non lo saprebbe trasmettere al tifoso", "la società non sa comunicare", "Branca e Ausilio non sanno fare mercato", sono arrivato alla conclusione (ma ho la stranissima sensazione di non essere il solo) che il restyiling dell'Inter deve ripartire dalle scrivanie. Parecchia gente dovrà riempire i suoi begli scatoloni, ed emigrare quanto più lontano possibile da Corso Vittorio Emanuele, che so, in Groenlandia o in Birmania, dovunque i suoi influssi negativi non possano avere effetto sul mercato dell'Inter. Perché se la "branchite" è contagiosa, e il bacillo continua a permanere nelle stanze della sede nerazzurra, temo che il nuovo direttore sportivo dovrà stare molto molto attento. Esaurita la fase del taglio delle teste, si deve passare alla scelta del nuovo ds, una personalità che sia dotata di operatività illimitata e di poteri che superino, almeno nell'ordinaria amministrazione, quelli del presidente: dovrà essere uno che ci metta la faccia quando le cose vanno male, così che il marciapiede sotto palazzo Saras torni a essere il marciapiede sotto palazzo Saras e non una succursale atipica della sala stampa, un luogo dove chiunque può recarsi in qualunque ora, e può stare sicuro che Moratti qualcosa lo dice; e senz'altro, dovrà essere uno che sappia fare mercato, intelligente, ragionato, sostenibile. Qualche nome: Marino, Larini, Corvino, ma io patrocino soprattutto la candidatura di Marino, che ha costruito 7 undicesimi del Napoli dei miracoli e ha salvato l'Atalanta con tre mesi di anticipo nonostante sei punti di penalizzazione. Con il nuovo ds si dovrà procedere alla scelta del futuro allenatore, che necessariamente incontri il pieno favore di Moratti, onde evitare situazioni spiacevoli alla Benitez o alla Gasperini, che hanno pregiudicato irreversibilmente le ultime due stagioni sportive.
Ottenuti i sì di direttore sportivo e di allenatore, si passa alla rimodulazione della rosa. Che inevitabilmente dovrà essere sfrondata dell'inutile e del superfluo: chi non può più far parte del progetto, vuoi perché arrivato a fine corsa (Lucio, Cordoba, Zanetti, Cambiasso, Julio Cesar e affini), vuoi perché inadeguato agli standard che un club come FC Internazionale richiede (Castaignos, Obi), vuoi perché etichettato con un marchio di decisività che costantemente e pervicacemente disattende (Sneijder, Maicon), tutti questi dovranno essere venduti e/o svincolati e/o, alle strette, messi fuori rosa come ha fatto la Juventus quest'anno con Iaquinta, Toni e Amauri. Dopo il processo di depurazione ed epurazione, il lavoro congiunto di direttore sportivo e allenatore dovrà produrre il mercato in entrata. Il mister proporrà le sue esigenze di ruolo (mi serve un terzino, un centrocampista di interdizione, un costruttore di gioco), e il ds, che negli intendimenti dovrà avere ampio raggio d'azione e una consolidata rete di rapporti con procuratori e dirigenti, comprerà i migliori giocatori al minor prezzo possibile. Si faccia attenzione: se la nuova dirigenza riuscirà a far fuori quei capipopolo dello spogliatoio che in questi ultimi tempi hanno fatto mercato ricusando alcuni acquisti e proponendone altri (Cambiasso- Mascherano?), surrogando gli allenatori nella loro funzione, scavalcandone l'autorità, e permettendosi di dare direttive ai compagni sul campo di gioco, e in qualche caso addirittura richiedendone l'esonero con una telefonata al presidente, se la nuova dirigenza riuscirà a fare questo, il calciomercato del futuro sarà finalmente libero e autonomo.
Riassumendo: idealmente Moratti ad aprile dovrebbe avere sul tavolo le lettere di licenziamento e le proposte di buonuscita per Branca e Ausilio, i precontratti del nuovo direttore sportivo e del nuovo allenatore, avere già completato il discorso cessioni e impostato il mercato in entrata. Qui non si parla di spendere 100 milioni di euro, ma di avere le idee chiare e soprattutto di ritrovare l'entusiasmo di un tempo. Noi tifosi dell'Inter non abbiamo le vittorie come unica cifra per la valutazione della nostra squadra: non abbiamo l'abitualità alla vittoria che hanno Milan e Juve e siamo geneticamente diversi dai supporter di quelle squadre, e per fortuna. Ci è sufficiente avvertire vivacità nei giocatori, vedere una squadra che pulsa, che vibra. Alla fin fine, le vittorie sono solo un sottoprodotto secondario delle prestazioni della squadra.

Infine, so che è impensabile un'Inter senza il presidente Moratti, e che qualunque strategia per il futuro si attorciglierà inevitabilmente attorno a lui; ma so anche che lo stesso presidente dovrebbe essere quantomeno stuzzicato dall'idea di una nuova squadra, di un nuovo progetto, di un nuovo gioco, di aria fresca e pulita. Se così non fosse, sarà ufficiale e definitivo l'allontanamento del cuore e della passione del presidente dall'Inter. Non ci voglio proprio pensare

p.s. Força Abidal!

13 mar 2012

Messi migliore della storia? parliamone...


Sono passati cinque giorni dalla storica cinquina di Messi all'irresistibile Bayer Leverkusen, e già si sono spesi fiumi di inchiostro (calamai roventi), cinguettii, articoli, sono usciti ebdomadari straordinari e sono stati scritti editoriali al miele per celebrare le gesta del più grande fuoriclasse dell'universo, e perché no, di tutti gli universi paralleli, sempre che esistano. Chiamatemi bastian contrario, ma io mi dissocio.
Sono convinto da diverso tempo che Messi non sia più solo un fenomeno unicamente e precipuamente sportivo, e che venga utilizzato da potentati di varia natura per canalizzare consensi, spettatori, denaro. Non si spiega altrimenti la vittoria più che generosa del Pallone d'Oro di due anni fa, o la critica più che zerbinata e omologata che ogni giorno appesta computer e pagine di giornale. Non è il giocatore migliore della storia, e non è neppure il migliore del suo tempo, visto che, nel suo stesso campionato, gioca un giocatore che ha fatto 126 gol in 127 partite e che in questo momento sta 10 punti davanti (massimo vantaggio della prima sulla seconda in Europa). Noto grande riottosità nel fare un confronto serio ed equo tra Messi e Cristiano Ronaldo, da parte dei giornalisti e degli opinionisti sportivi che indegnamente occupano gli scranni televisivi. Spesso parlano per frasi fatte (Messi è il dio del calcio e altre amenità di questo squallidissimo tenore), ma mai cercano di scendere sul dettaglio tecnico- tattico, mai cercano di argomentare con i fatti che cos'ha Messi di più di Cristiano Ronaldo. Lo facciamo noi.
Messi è certamente un giocatore dotato di ottimi numeri, di un dribbling ubriacante, di uno stop fulmineo, e di una buonissima corsa (nulla che Ronaldo non abbia): Messi sa fare benissimo quello che sa fare, il problema vero è che sa fare solo quello. Ronaldo ha duttilità tattica, è nato esterno, si è evoluto trequartista, e infine si è fatto centravanti vero; ha potenza, tiro, colpo di testa, freddezza sotto porta, sa calciare le punizioni. E sa caricarsi la squadra sulle spalle: mentre Messi fa il gradasso solo con la maglia del Barcellona, Cristiano Ronaldo a 19 anni ha condotto da solo il Portogallo di Maniche, di Andrade (sì, proprio loro), di Nuno Gomes, di Pauleta alla finale degli Europei. Attendo che Messi segni un gol da 50 metri come quello di Ronaldo nel quarto di finale di Champions con il Porto (gol risolutivo per la qualificazione dello United), o che realizzi una qualsiasi delle punizioni meravigliose con cui CR7 ha obnubilato i miei occhi (ne dico due, quella contro lo Sporting Lisbona, e quella contro l'Arsenal nella semifinale del 2009). Solo due settimane fa ha infilato un tacco dal limite dell'area piccola con il Rayo Vallecano. La mia impressione è che gli opposti giudizi sui due campioni (perché non nego che Messi sia un campione) facciano leva sugli aspetti strappalacrime dell'infanzia di Messi e per converso sulla non discutibile avvenenza di Cristiano, come se un giocatore bello non potesse essere anche bravo. E' qui che intervengono l'Uefa e la Fifa, che hanno scelto Messi come un simbolo del calcio più spendibile di Ronaldo, più vero, più umile, forse più simpatico. Ma non più bravo. Ah, dimenticavo: Cristiano Ronaldo gioca con quegli spendaccioni del Real Madrid (salvo scoprire che il Barcellona ha più debiti), ed è allenato da quel cattivone di Mourinho.
Invoco una equità di giudizi che mi pare non ci sia, tutto qui.

8 mar 2012

Tre buoni motivi per puntare tutte le fiches sulla Champions

Ci sono dei momenti nella vita in cui bisogna ridisegnare le proprie ambizioni e i propri obiettivi per non cadere nel tracollo. Per l'Inter questa è stata una stagione disgraziata e nefanda, e se quello dell'ultimo mese sarà il trend su cui alligneranno le prestazioni future della squadra, rimarrà una stagione disgraziata e nefanda. E qui ci riallacciamo al discorso iniziale: è arrivato il tempo che l'Inter faccia delle scelte, e tra le due sliding doors a disposizione si butti a capofitto su una, abbandonando definitivamente l'altra.
I risultati della Champions League passati e quelli probabili nel futuro dischiudono infatti, anche in modo inatteso, all'Inter, la possibilità di riabilitare un'annata fatta di 16 sconfitte su 40 gare, di un settimo posto in campionato a -11 dal terzo posto e a -17 dal primo. Ho almeno tre buoni motivi per pensare che l'Inter debba fare all-in sulla Champions, puntando tutto ciò che c'è sul tavolo da gioco (non moltissimo, invero) sulla massima competizione continentale.
Numero uno, non c'è grandissima competitività, fatte salve Barcellona e Real Madrid. E' molto più probabile che l'Inter riesca a farsi largo nella Coppa contro Basilea, Apoel Nicosia, Benfica, Napoli e anche Milan (che gioca con Emanuelson, Nocerino e Mesbah, non con Rivelino e Djalma Santos) piuttosto che in campionato contro quattro squadre assatanate, giovani, fresche e motivate. Mal che andasse al Basilea contro il Bayern, l'Inter affronterebbe un avversario già battuto e ribattuto negli ultimi due anni, pronto per la terza ripassata di capo consecutiva. C'è poi un fattore di forma fisica e psicologica: è molto più facile per i giocatori, soprattutto per quelli con parecchie primavere sul groppone, concentrarsi su una sola competizione, fatta di poche partite, prepararsi per il mercoledì di coppa e magari alla domenica lasciar giocare i giovani e guardarsi la partita spaparanzati a casa, con il telecomando in mano e i piedi ammollo in una salvifica bacinella d'acqua calda (insomma, Villa Arzilla Inter). Last but non least, il Marsiglia ha appena perso tre partite consecutive, l'ultima 2-0 con l'Evian Thonon- Gaillard, un risultato che all'Inter aggraderebbe assai. Per spezzare le reni a Valbuena e Amalfitano non servirà certo un'Inter grandiosa, basta che torni a fare un pochettino se stessa, e che magari sul rettangolo verde si presentino i giocatori veri, e non i cugini, quelli scarsi.
Puntare tutte le fiches su Marsiglia: e poi aspettare che al sorteggio qualcuno non risponda con una scala reale

5 mar 2012

I casi fortunati di Ranieri. Quando l'Inter non attrae più.

E poi dicono che il calcio non è fatto dagli episodi. Ieri per Claudio Ranieri sono stati provvidenziali almeno tre momenti che hanno fatto di Inter- Catania non il capolinea, ma una semplice tappa del suo travagliatissimo percorso sulla panchina nerazzurra. Deve ringraziare ad esempio Seymour, che solo davanti a Julio Cesar sbaglia un gol fatto; oppure l'assistente di Celi, che prende un abbaglio clamoroso quando non ravvisa un fuorigioco di un metro di Marchese in occasione del secondo gol, consentendo a Ranieri di spostare impercettibilmente il mirino della critica dalle prestazioni ignobili della squadra ai disastri arbitrali (ieri, veramente tanti); e infine deve ringraziare lo sciagurato Carrizo, che si incarta su quello che sarebbe stato conteggiato come l'ennesimo tiro da oratorio della serata di Forlan. Già, Forlan. Additato dai giganti della critica sportiva come il male incarnato di questa stagione dell'Inter, come il termometro dell'imperizia dei dirigenti della Beneamata sul mercato, ha realizzato ieri il suo secondo gol in campionato. Poco, pochissimo. Poi vado a guardare la lista dei marcatori sulla gazzetta dello sport, e vedo che Vucinic ha fatto un gol in più, Pato uno in meno, e Borriello addirittura due. Ora, non pretendo che si facciano dei processi, che si aprano delle interrogazioni parlamentari, che si stilino dei dossier, ma almeno che se ne parli. Va bene, parliamo di Forlan, è scarso, è vecchio, è rotto. Ma poi non mi vengano a dire che Vucinic è utile al gioco della Juve...

Il calo del tasso di interesse per l'Inter è un fatto. Quelle che una volta sarebbero state contestazioni furiose, oggi sono timidi tentativi di dissenso, che assumono forme civilissime e urbane (fortunatamente), ben lontane dai lanci di motorini o di petardi in campo. Proteste che non sono andate oltre un'adunanza di quattro signore impellicciate sotto la sede dell'Inter, o striscioni garbatamente rimati, o fischi decisamente poco convinti all'indirizzo ora di Tizio ora di Caio. La tifoseria dell'Inter è stata senz'altro educata dalle recenti vittorie, che ne hanno cesellato gli aspetti più spigolosi e ruvidi propri del supporter medio dell'Inter. E' indubbio; ma c'è anche una cloroformizzazione dell'interesse del tifoso verso la squadra che ha reso possibile un'assuefazione alle sconfitte senza derive violente e forti. Ripeto, fortunatamente: ma un pochino più di animus non farebbe male. Io stesso dopo il 2-0, per non forzare ulteriormente la mia capacità di sopportazione, ho abbandonato come il peggiore degli Schettino il natante nerazzurro, e ho messo su Sportitalia 2, decidendo di destinare in miglior maniera le restanti ore della serata. Scelta felice: davano l'ennesimo scontro generazionale LBJ- Kobe (finito 93-83 per LA: Heat veramente scarsi, fatti salvi i Big Three) ed è inutile dire che il mio stomaco ci ha guadagnato. Mentre il frizzante coach Dan ne sparava una delle sue, pensavo che smettere di guardare l'Inter non è stato altro che un estremo atto d'amore. Sono uno che non riesce ad assistere al deperimento delle cose amate. Finché non arriverà una svolta, seguirò con passione le sfide del Mancio, di Josè, e anche di Leo, nel loro ennesimo tentativo di rovesciare l'ordine costituito. L'Inter, mi riservo di osservarla con quieto distacco